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Confini sani per amare sconfinatamente

PER AMARE SCONFINATAMENTE, SERVONO CONFINI SANI

Cosa ti viene in mente se ti dico “confine”?

La prima sensazione, la prima immagine, la prima parola  che emerge in te da questo stimolo, ti dirà la percezione che hai del confine.

Per A. per esempio, il confine è una striscia di terreno che simbolicamente divide due territori, gli viene in mente la striscia di Gaza, un territorio di guerre in cui ciascuno dei confinanti reclama e ne rivendica la proprietà. Quindi confine come conflitto, limitazione, proprietà.

A G. invece, accade di provare subito una sensazione di avvolgenza, di comfort e protezione, mi parla di una morbida coperta che protegge il tepore del corpo dal freddo. In questo caso il confine è inteso come protezione, sicurezza, benessere

F. Mi risponde semplicemente “pelle”, dandone un’accezione più metafisica e filosofica che apre infinite possibilità di dibattito.

Molteplici  sono gli stimoli sul tema del confine. La storia per esempio ci racconta di come i confini siano cambiati nel tempo, tanto geologicamente come geograficamente.  Basti pensare all’Impero Romano che, partendo dalla piccola eppur importante area di Roma, si estese fino ad abbracciare  il nord dell’Africa, quasi tutta l’Europa attuale, e parte dell’Asia per poi nuovamente restringersi, (espansione e contrazione come di un respiro), fino ai giorni presenti in cui è una città cosmopolita con abitanti multietnici (2000 anni dopo) che sono l’insieme integrato ed evoluto delle tante terre straniere che un tempo ne furono parte

Di chi sono realmente, in questo caso, i confini oggetto di contesa? Appartengono a qualcuno? Quali sono le mie responsabilità verso i suddetti? In realtà i confini geopolitici hanno a che fare con me, relativamente. Ovvero in quanto cittadina di una Nazione piuttosto che un’altra.

Per esempio se la porta di casa e le mura sono confine della mia proprietà (o spazio abitativo). Tutto quanto è compreso all’interno delle mura domestiche è mia responsabilità, tutto ciò che ne è fuori è responsabilità condivisa con i confinanti, nella tutela del bene comune. In altre parole: io rispondo per ciò che è all’interno dei miei confini, del mio appartamento e i miei vicini rispondono per ciò che è all’interno dei loro. Insieme, siamo responsabili del bene comune rappresentato dal pianerottolo, dall’ascensore, l’androne del palazzo e tutto quanto sia di uso condiviso. Già questo esempio ci aiuta a comprendere come, sebbene i confini individuali siano ben definibili, questi pur sempre si intrecciano, si incontrano, partecipano anche con quelli dell’altro, degli altri inevitabilmente.

Vi è mai capitato di fare una festa con gli amici in casa vostra e che i vicini, superata una certa ora,  bussassero al muro per comunicarvi (anche senza parole) che forse era il caso di abbassare il volume? A me si. Ricordo bene il senso di imbarazzo nel diventare consapevole che stavo “invadendo” lo spazio dell’altro. Improvvisamente il divertimento sguaiato ha integrato quell’imbarazzo rimodulando l’atmosfera verso intrattenimenti meno rumorosi. Ho preso atto del confine dell’altro, di averlo oltrepassato (involontariamente) ed ho mediato con ciò che accadeva all’interno del mio confine, sviluppando una modalità di contiguità che permettesse ad entrambi, ciascuno entro i propri confini, di non rinunciare al godimento del proprio spazio nella misura desiderata.

La musica troppo alta del mio vicino di casa, infatti, seppur nei confini del suo appartamento, interferisce acusticamente sulla mia esperienza della quiete all’interno dei confini di casa mia.

Il confine ha una sua importanza. Sebbene sia vero, infatti, che le menti più brillanti e gli spiriti più evoluti e saggi, ci invitino continuamente ad andare oltre i confini; amare oltre i confini; volare con l’immaginazione oltre i confini; prendere consapevolezza della nostra “sconfinata” meraviglia; è altrettanto importante riconoscere che per oltrepassare un confine, questo debba in primo luogo esistere ed io debba prenderne prima coscienza, poi atto, dunque procedere a scegliere in quale misura rispettarlo, oltrepassarlo o semplicemente aprirlo all’opportunità di contatto con l’altro, come quando si apre una porta.

Quanto sono importanti sicché i confini?  Né più e né meno quanto la pelle, come dice F. nella sua risposta alla domanda iniziale. Se immaginiamo la pelle come un involucro all’interno del quale accade la magnificenza della perfezione organica di questa macchina chiamata corpo e che lavora incessantemente per farci sperimentare la vita; possiamo comprendere come questa pelle, pur contenendoci, non ci definisca. Tuttavia, senza di questa, sarebbe molto difficile sopravvivere al mondo che ci circonda.

Questo possono essere i confini: la possibilità di esprimerci completamente e liberamente come individui con l’opportunità di scegliere come stabilire un contatto con l’altro.

Il contatto, come lo conosciamo, è possibile infatti, solo grazie ai confini. Al nostro “perimetro” Se vuoi toccare fisicamente qualcuno, lo fai con le mani, con la pelle, con il confine fisico che circoscrive la tua energia nella materia. Se vuoi toccarlo interiormente, ricerchi con il tuo corpo emotivo (l’insieme, il perimetro, delle tue esperienze vissute, la consapevolezza delle tue emozioni, sensazioni, sentimenti) quello dell’altro, per risuonare o stridere con questo.

Immaginiamo anche i colori. Ogni colore ha “il confine” del proprio pigmento. Il verde, il giallo, il rosso, il blu, il rosa, il marrone, il viola… l’equilibrio che ne determina l’identità. Fin quando i loro confini cromatici sono delineati, possono creare addirittura l’arcobaleno, gli uni accanto agli altri. Se tuttavia “sconfinano” e si mescolano senza criterio e senza scelta tutti insieme, la risultanza sarà un insieme indefinibile tendente al nero. Cosa fa la differenza tra questo insieme indefinibile e, piuttosto, le sfumature di colori ulteriori che si possono ottenere dal mescolarne i primari? LA SCELTA.

Scelgo in che misura aggiungere del giallo al blu, per ottenere una specifica sfumatura di verde. Se poi voglio togliere al rosso intensità, aggiungerò del bianco e sarà sempre la scelta delle quantità dell’uno e dell’altro a darmi la proporzione del risultato che voglio ottenere sia questo rosso chiaro o più rosa.

Cosa c’entra tutto questo con te e con me?

Anche io e te abbiamo i nostri confini e, come nel caso dei colori, delle pareti di casa e dell’antica Roma, siamo responsabili di tutto quanto accade all’interno di questi, sta a noi decidere in che misura diventarne consapevoli. e così accedere alla nostra capacità di scegliere se, come e quando aprirci al contatto con l’altro e con l’ambiente esterno comune e condiviso, riuscendo a determinare la qualità e la tipologia di esperienza che vogliamo sperimentare.

Possiamo determinare la qualità e la tipologia di esperienza che vogliamo sperimentare

 

Se i nostri confini sono labili, infatti o peggio ancora non ne siamo completamente consapevoli, (Probabilmente fin da bambini nessuno ci ha insegnato quali siano, magari con un’educazione troppo permissiva o piuttosto estremamente severa), avremo difficoltà a riconoscere e proteggerci da un eventuale abuso; dalle azioni e modalità relazionali degli altri che violano i nostri confini.

Se perdessi sensibilità nella pelle, chiunque potrebbe tagliarmi senza che io me ne accorga. Viceversa, quando la mia pelle è sana, mi accorgo persino di una piuma che, come una carezza, mi sfiora e posso scegliere costantemente quanto e in che modo permettere all’altro di toccarmi ed entrare in contatto con me, oltrepassando il confine.

La vera maestria, come essere umano in primis e ancor più come professionista della relazione d’aiuto, consiste nell’allenare la capacità di rimanere sulla soglia.  La soglia del confine tra me e l’altro. Tra il mio universo esperienziale ed emozionale contenuto all’interno dei miei confini e l’universo esperienziale ed emozionale dell’altro contenuto nei suoi. Senza necessariamente far entrare l’altro nel mio né entrare io nel suo. Scegliendo piuttosto di incontrarci sulla soglia, nello spazio comune del nostro incontro che sceglieremo di occupare, creare metaforicamente ora solo con un dito, poi magari con un piede e infine con tutto il corpo, se ci andrà, in un contatto pieno.

Il mio percorso di crescita personale e poi professionale è consistito nei primi anni, quasi esclusivamente del prendere coscienza e letteralmente imparare a conoscere, ri-conoscere i miei confini.  Per sviluppare la capacità sempre più sana di rispettarli e scegliere liberamente se e quando oltrepassarli; e ancor meglio imparare a riconoscere quando qualcuno vuole violarli o  ne ha cura e rispetto altrettanto.

Anche con i miei clienti abbiamo fatto lavori bellissimi proprio sul rafforzamento dei confini individuali.

Posso dire “no”, se qualcosa non fa per me.

Posso dire “no” a qualcuno che ruba come un ladro la mia energia anche se questo è un membro della mia famiglia o colui che credevo il mio miglior amico.

Posso dire “no” a un’esperienza, per quanto invitante si mostri, se sento che sarebbe nociva al mio clima interiore.

Quando i miei confini sono sani, non temo più il contatto con l’altro e dunque posso finalmente dire anche “sì” consapevolmente, perché come dice  uno dei miei maestri il Prof. E. Giusti*:  “non mi abbandono più all’altro,  mi abbandono bensì a me stesso, in presenza dell’altro”. E questo, nella relazione, fa una differenza enorme; sia essa sentimentale, amicale, familiare, professionale o intergalattica

 

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*Bibliografia

“Confini Terapeutici. Professionali e Privati” [E. Giusti M. Pacifico G. Fiume – Sovera Edizioni 2013]

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